Dopo la struggente rêverie sulla vita di Bruno Schulz, che due anni fa, con Un uomo che forse si chiamava Schulz, impose Ugo Riccarelli all’ attenzione di critica e pubblico, ora lo scrittore torna in libreria con un romanzo, Stramonio, profondamente diverso, ma per qualche aspetto sotterraneamente affine al precedente. è una favola nera, questa nuova prova, inopinatamente collocata nel microcosmo di chi lavora alla nettezza urbana, donde il soprannome del protagonista: Stramonio, appunto, come un’ erba che cresce di preferenza fra i rifiuti. Il protagonista si chiama in realtà Paolino, ed è un ragazzo la cui ferrea volontà e, perché no, improntitudine, si accompagna a un fisico gracile e di bassissima statura, motivo di infinite frustrazioni e di infinite eroiche reazioni. C’ è, su tutto, un mito che lo sostiene, e che incontriamo fin dalle prime righe, quando lui è intento a raccontare la sua storia a due piccioni che si attardano sul davanzale di una finestra d’ ospedale: quello di Bohumil Hrabal, il grande scrittore cecoslovacco di cui Paolino è appassionatissimo lettore. Prima Schulz, ora Hrabal: si ha l’ impressione che Riccarelli abbia bisogno, per far scattare la sua vena creativa, di un catalizzatore fornito dalla figura e dall’ opera di altri scrittori, meglio se lontani dall’ Italia, ancor meglio se direttamente coinvolti nelle grandi tragedie storiche del Novecento; quasi che, in altri termini, essi offrissero al testo, come sigillo, una testimonianza sulla resistenza della letteratura, sulla sua capacità di attecchire e prosperare anche negli ambienti più degradati e difficili. Un po’ come lo stramonio. Ed è nell’ A.R.I.A., azienda preposta alla raccolta dei rifiuti in una città italiana non meglio identificata, che attecchisce e prospera la favola di Paolino e del suo capo Lupo, con immondizie, sporcizia e pozzi neri a fare da sfondo pressoché esclusivo, e a far risaltare come per contrasto il candore di due anime rese profondamente inquiete dai mali del mondo, nonché decise nel loro piccolo a porvi rimedio. L’ ossessione della pulizia, connessa al loro mestiere, diviene così la metafora centrale del libro, nel corso del quale i due si imbattono, sempre come testimoni impotenti, in episodi emblematici dell’ orrore dei tempi: un barbone bruciato vivo, una bambina zingara dilianata da una bomba nascosta in un pacco- dono, le oscure trame di corruzione legate alla costruzione di un enorme inceneritore. A queste ultime Lupo cerca di ribellarsi, ricostruendo con certosina pazienza una serie di documenti compromettenti ridotti a striscioline e gettati, appunto, fra i rifiuti; ma l’ iniziativa gli costerà la vita, e toccherà a Stramonio compiere, a modo suo, la vendetta. Durante la cerimonia per l’ inaugurazione dell’ inceneritore, con tutte le autorità riunite nel Palazzo dei Duchi, egli invertirà il flusso della pompa per lo spurgo del pozzo nero del Palazzo medesimo, costringendo l’ orrido liquame a fuoriuscire dai sanitari e a riversarsi come un’ inarrestabile, fetida colata nelle sale, provocando un fuggi fuggi generale tra imprecazioni e conati di vomito. E lui, arrestato mentre assiste festante alla scena, verrà condotto nella stanza d’ ospedale in cui si apre il romanzo, in attesa di sapere se sarà avviato al manicomio o alla prigione. Favola, dicevo; e in effetti l’ intera narrazione pare trarre alimento da una sorta di stilizzazione fantastica – ed emblematica – della realtà quotidiana, condotta con una leggerezza un po’ magica che non viene meno neanche di fronte alle più evidenti e inoppugnabili tragedie: la stessa aria di straniato incanto, a ben vedere, che si respira in Le botteghe color cannella, o in Ho servito il re d’ Inghilterra. In fondo, è come se Riccarelli ci stesse ostinatamente indicando la sua anagrafe e la sua appartenenza di scrittore: come per Schulz, come per Hrabal, anche per lui la letteratura sembra essere faccenda di vittime, di marginali, di personaggi cui la storia ha negato un volto. Ma è proprio da questo macero di vite possibili – sì, esattamente quel macero hrabaliano più volte evocato – che può nascere per virtù di fantasia il miracolo di una Storia altra, che tutte quelle vite riscatti, e che opponga il senso fermo dell’ arte a quello labile della cronaca. Grosse responsabilità, non c’ è che dire. Ma Riccarelli, per nostra fortuna, continua a esserne all’ altezza.